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Di seguito riportiamo la versione estesa dell'articolo pubblicato all'interno del progetto editoriale: "Sciazzo. Vademecum per lo sciatore delle domeniche d'Abruzzo", a cura del giornalista Enzo Santarelli
Nello sport di qualsiasi livello ogni cosa può essere misurata e valutata tramite registrazioni. Tanto è vero che la trasposizione della propria esperienza in valori numerici è un’abitudine sia tra professionisti che tra appassionati e, a volte, diventa una necessità.
Sul piano mentale, però, le cose si complicano. Lo descrive bene Daniel Siegel, professore di psichiatria dell’UCLA, quando racconta che in una conferenza un collega disse: “Non dovremmo mai fare una domanda che non possa essere quantificata”. Eppure, per delineare i molteplici significati delle esperienze con gli sci ai piedi è proprio dalla seguente domanda che potremmo partire: “come si può gestire la paura di cadere?”.
Faccio un inciso. Nonostante le sofisticate apparecchiature per la scansione, la misurazione del flusso ematico e la rilevazione dell’attività elettrica a livello cerebrale, il nostro mondo interno (pensieri ed emozioni) non è ancora del tutto quantificabile. E se volessimo attribuire un numero alla paura di cadere, resteremmo comunque con il dubbio di come fare a regolarla.
Sembrano argomentazioni marzulliane, ma in realtà riguardano il comportamento di risposta all’emozione, in una disciplina sportiva tipo lo sci alpino.
Il problema è che per quanto la scienza moderna si fondi sulla misura e sia basata sulla statistica, la nostra mente, per adesso, è osservabile soprattutto in termini qualitativi, grazie ai resoconti di chi è coinvolto.
Pensiamo, ad esempio, allo strano senso di impotenza in cui affondiamo, quando sciare rappresenta soprattutto la possibilità di cadere e siamo attanagliati dall’incapacità di risolvere la confusione che proviamo.
La paura è la reazione innata del nostro corpo e della nostra mente a ogni minaccia percepita, anche sottile. Come tutte le emozioni e gli impulsi di base, è frutto della valutazione che l’area limbica, situata in profondità nel cervello, svolge a stretto contatto con il tronco encefalico e il corpo. Da questo lavorio continuo derivano la nostra spinta verso ciò che è piacevole e il nostro rifiuto per ciò che è spiacevole. Pertanto, le emozioni come appunto la paura o l’ansia evocano movimento e puntualmente ci inducono ad agire per via del significato che diamo agli eventi.
Quando sciamo, più intimo è il bisogno che sentiamo, meglio riusciamo a gestire l’intensità delle nostre reazioni agli stressors. In altre parole, se la motivazione con la quale siamo arrivati in montagna è di ricevere complimenti da qualcun altro o evitare brutte figure, difficilmente ci comportiamo in maniera funzionale pensando di poter cadere.
Ma l’aspetto più eccitante, per rispondere alla domanda iniziale, è proprio la possibilità di inibire o modulare la paura. Esercitare la nostra capacità di padroneggiamento, consapevoli del valore delle sensazioni corporee, è infatti un elemento fondante la prospettiva di divertirsi, ma se e solo se l’obiettivo è assaporare appieno l’opportunità di sciare.
Una volta definito il peso specifico della motivazione intrinseca, per la quale sciare rappresenterebbe un’attività gratificante di per sé, occorre quindi accedere a una serie di strumenti che possa supportare l’avventura del momento. Perché di questo si tratta, dell’attitudine a ricercare, creare o esplorare attivamente esperienze nuove e stimolanti, con gli sci ai piedi.
Concentrarsi, connettersi e dirigere i propri pensieri dove serve davvero. È questo che conta. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, soprattutto quando pensare può indicare tutto e niente. Come bisogna pensare? Cosa? Quanto? In certi casi, è più importante sentire e lasciarsi andare, così che il movimento risulti fluido. Nessuna tensione. Solo il rumore della neve sotto gli sci e il freddo sulle guance.
Lo scopo è raggiungere e mantenere un determinato flusso di energia e informazione. Due elementi distinti che consentono alla mente di modulare il cervello su determinate frequenze d’onda, rendendo il movimento totalmente fluido. Vediamoli singolarmente.
L’energia è la capacità di compiere un’azione - che sia piegare le gambe o pensare un pensiero. Utilizziamo l’energia cinetica quando eseguiamo i primi spazzaneve, scendiamo una pista immacolata o camminiamo per raggiungere lo skipass. Ma si parla di energia anche quando percepiamo quella radiante, mentre facciamo una pausa al sole. Oppure, se ascoltiamo i consigli del maestro prima di metterci alla prova, allora utilizziamo l’energia nervosa.
L’informazione, invece, è ogni elemento rappresenti un simbolo di qualcosa di diverso da sé. Facciamo l’esempio delle parole che state leggendo, sono pacchetti di informazioni, gli scarabocchi sul foglio non sono il significato delle parole. Contrariamente, la neve in sé non è informazione. La neve contiene dei dati: possiamo notare la sua consistenza e la sua densità totale che tiene conto di tutti i componenti (ghiaccio, acqua liquida e aria). Immaginiamo come si trasformerà in base al flusso degli sciatori sulla pista. Ma è la nostra mente a creare queste informazioni e a meno che non diventi argomento di conversazione, mentre facciamo una pausa, resta semplicemente neve. Allo stesso tempo, però, la parola neve è anch’essa un pacchetto di informazioni.
Detto questo, per evitare ulteriori elucubrazioni, limitiamoci a fare leva sul presupposto che l’energia e l’informazione sono strettamente legate nei movimenti della nostra mente.
Nel momento in cui abbiamo esperienze dirette e ci assale la paura di cadere, possiamo essere consapevoli, per esempio, dello stress a cui siamo soggetti. Elaborare emozioni e sentimenti carichi di energia, in circostanze simili, ci consente di mapparli nel nostro cervello. Possiamo comprendere un’irruzione di paura come risposta a una mancanza di auto-efficacia, divenire consapevoli del senso di impotenza successivo e della paura del giudizio altrui e, quindi, attivarci per fare qualcosa. Per esempio, cercare sollievo in una respirazione lenta e profonda. Pertanto, allenare l’abilità di gestire lo stress significa esercitarci nell’attivare uno schema di comportamento che neutralizzi la nostra risposta automatica a ciò che percepiamo come una minaccia, pur non essendolo nella realtà.
Sono questi i modi in cui la nostra mente crea informazioni dal flusso di energia, le stesse informazioni che definiscono la nostra motivazione. È così che l’uso dell’energia favorisce l’innesco di una gestione nuova e adattiva dello stress, compreso quello associato alla paura di cadere.
La capacità di “rappresentarci” una paura, dandole un nome e un significato, ci aiuta anche solo semplicemente a prendere le distanze dall’immediatezza di un’esperienza o da un ricordo spaventoso che tende a riattualizzarsi. E questo ci permette di rispondere ad essa in maniera più efficace.
La parola flusso, spesso riportata anche tra le storie dei grandi campioni, nell’accezione del flow e quindi dell’esperienza ottimale, indica nient’altro che il processo dinamico, efficace e continuo dell’energia e dell’informazione. L’essenza della nostra esperienza soggettiva, che si tratti di paura o di qualsiasi altro elemento, sta proprio nella possibilità di monitorare e modificare il modo in cui questi schemi si svolgono.
Insistere sul focus della nostra attenzione canalizza le nostre risorse cognitive (percezioni, pensieri, ricordi) e consente di educare i nostri comportamenti tramite l’attivazione diretta di una scarica nervosa nelle corrispondenti aree cerebrali.
In tutto questo non c’è nulla di irrinunciabile, niente che somigli neanche lontanamente a un passaggio obbligato. Ma quando la complessità sembra essere superiore alla nostra capacità di gestire lo stress di un compito, ancora troppo lontano dalle nostre corde, allora la forza di una simile possibilità diventa proporzionale all’importanza di imparare a sciare al di là della paura.
Fatto che sta che semmai volessimo ancora rispondere alla nostra domanda iniziale - come si può gestire la paura di cadere? -, adesso forse avremmo qualche strumento in più per farlo.